martedì 21 agosto 2012

L' epopea di Gilgameš poema sumerico


Gilgamesh doma un leone

 
Numerosi sono i documenti iconografici riconducibili a Gilgamesh. Per esempio, in molti sigilli o bassorilievi si incontra un personaggio con un'imponente barba squadrata che tiene per la gola un leoncino come fosse un cucciolotto, come sopra.
In altre rappresentazioni (come i fregi della glittica da Ebla) questo personaggio doma due leoni afferrandoli per la coda.


 








Gilgamesh rappresenta simbolicamente il controllo della natura selvaggia.



Gilgamesh combatte i leoni nella tav. IX°. Gilgamesh incontra i leoni ma ne prova paura e tocca a Sin, dio lunare, scacciare le belve.

<< Ho visto leoni e ne ho avuto paura,
ho alzato allora la mia testa rivolgendo la mia preghiera a Sin;
al più grande tra gli dei è rivolta la mia prece:
[ ] da questo pericolo fammi uscire sano e salvo!"
Di notte egli dormì ma fu svegliato di soprassalto da un sogno:
[ ] gioivano della vita alla luce di Sin.
Allora egli prese l'asta nella sua mano
estrasse la spada dalla sua guaina,
e si buttò su di essi come una freccia,
li colpì e li disperse. >>

Nella tav. X Gilgamesh si attribuisce poi il merito della vittoria sui leoni parlando con Siduri la taverniera.

<< Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera:
lacuna di 3 righe
"Io ho ucciso Khubaba, colui che viveva nella Foresta dei Cedri, 
io ho ucciso i leoni che ho incontrato nei passi di montagna". >>

Chi era Gilgamesh?
Prima dinastia di Uruk  
  • Meskiaggasher di E-ana, figlio di Utu: 324 anni. Mesh-ki-ang-gasher andò in mare e sparì.
  • Enmerkar (2800 a.C. circa), che edificò Unug: 420 anni
  • Lugalbanda di Unug, il pastore: 1200 anni
  • Dumuzi di Unug, il pescatore: 100 anni. Catturò En-Me-Barage-Si di Kish.
  • Gilgamesh, il cui padre fu un "fantasma", signore di Kulaba: 126 anni.
  • Ur-Nungal di Unug: 30 anni
  • Udul-Kalama di Unug: 15 anni
  • La-Ba'shum di Unug: 9 anni
  • En-Nun-Tarah-Ana di Unug: 8 anni
  • Mesh-He di Unug: 36 anni
  • Melem-Ana di Unug: 6 anni
  • Lugal-Kitun di Unug: 36 anni

Lista reale sumerica

Che cos'è l'epopea di Gilgameš?
E' uno dei più antichi poemi conosciuti, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla e narra le gesta di un antichissimo e leggendario re sumerico, Gilgameš, alle prese con il problema che da sempre ha assillato l'umanità: essere immortali.
L'epopea (o più semplicemente "il Gilgame
š ") è anteriore ai poemi omerici (VIII° sec. a.C.) e ai Veda indiani (1500 a.C.). Le prime redazioni sumeriche del poema sono fatte risalire ad oltre il 2500 a.C. Documenti su Gilgameš sono stati rinvenuti più o meno ovunque in Mesopotamia, ma anche al di fuori, come in Anatolia (Hattusa, capitale dell'impero ittita) o in Palestina (Megiddo). Il poema di Gilgamesh che conosciamo finora è solo l'ultima, cronologicamente parlando, di una serie di redazioni che si sono succedute con aggiustamenti e continui perfezionamenti nel corso dei secoli.

Essa corrisponde alla cosiddetta Epopea Classica o ninivita. Il nome ha origine dal luogo del ritrovamento: Ninive, capitale dell'impero assiro, dove si trovava una delle maggiori biblioteche dell'antichità: la biblioteca di Assurbanipal.
Questa redazione è la più lunga, la più complessa e la meglio conservata giunta ai giorni nostri. Infatti il Gilgamesh non è un'opera completa. I documenti a nostra disposizione sono spesso frammentari, scritti in lingue diverse, appartenenti a epoche diverse, e dal contenuto non sempre omogeneo. I testi furono scritti in cuneiforme, scrittura più adatta al tipo di supporto finale, argilla modellata in forma di tavoletta.
Nonostante le lacune, il quadro d'insieme dell'opera è ormai chiarito e costanti scoperte archeologiche consentono di aggiungere nuovi tasselli sia all'epopea Ninivita sia alle versioni più antiche, comprese quelle di epoca sumerica.
L'epopea classica risale a circa il 1200 a.C. ma ci è giunta nella posteriore redazione neoassira (ca. 700 a.C.). Essa è composta di dodici capitoli scritti in accadico (non sumerico, anche se luoghi e personaggi sono spiccatamente di Sumer) su altrettante tavolette.
L'epopea classica è frutto di un'elaborazione letteraria risalente addirittura agli albori della scrittura 3000 a.C. e che, per semplicità, ho suddiviso in quattro fasi.
Fase 1: i poemetti sumerici
Questi poemi scritti in sumerico risalgono al terzo millennio a.C. e presentano, indipendentemente uno dall'altro, temi o vicende che confluiranno nell'epopea classica. Non costituivano un corpus epico unitario. Infatti Gilgamesh, se vi compare, ha ruoli molto eterogenei (avventuriero, sovrano di Uruk, giudice dell'oltretomba, fratello di Ishtar dea dell'amore, ecc.). Già nel 1889 gli scavi condotti a Nippur da John Punnet Peters per conto dell'università di Philadelphia avevano portato alla luce documenti su Gilgamesh risalenti addirittura al periodo sumerico (III millennio a.C.). Conosciamo almeno cinque poemetti sumerici. Essi presentano, indipendentemente uno dall'altro, temi o vicende che confluiranno (ma solo in parte) nel poema paleobabilonese e nell'epopea classica.
  •  Gilgamesh e Agga
  •  Gilgamesh e Huwawa, versione A (Gilgamesh e il 'paese del vivente')
  •  Gilgamesh e Huwawa, versione B
  •  Gilgamesh e il Toro Celeste
  •  Enkidu agli inferi (Gilgamesh e l'aldilà)
  •  La morte di Gilgamesh
Questi poemetti non costituivano un corpus epico unitario (vedi gli incipit sparsi nei cataloghi). Infatti Gilgamesh, se vi compare, ha ruoli molto eterogenei (avventuriero, sovrano di Uruk, giudice dell'oltretomba, fratello di Ishtar dea dell'amore, ecc.).
Fase 2: il poema paleo-babilonese
Il primo vero tentativo di composizione epica unitaria sulle gesta del re di Uruk avvenne verso il 1800-1600 a.C., ovvero al periodo della prima dinastia di Babilonia con il suo re prestigioso Hammurabi noto per il "primo" codice delle leggi (i primi codici sono in realtà di epoca sumerica). Questa saga è detta poema paleobabilonese di Gilgamesh. Dal poema di Gilgamesh sono tratti questi splendidi versi che ammoniscono il protagonista ossessionato dalla ricerca dell'immortalità:
"Gilgamesh, dove vai? La vita che cerchi, non la troverai. Quando gli dei crearono l'umanità le assegnarono la morte, e tennero per sé la vita! Riempi il tuo stomaco, Gilgamesh. Fai festa giorno e notte, i tuoi vestiti siano puliti! Lava il tuo capo, lavati con acqua! Gioisci del bambino che ti tiene per mano, possa tua moglie godere di te. Questo è il destino degli uomini!" Questi sono praticamente gli ultimi versi di quanto ci è rimasto del poema di Gilgamesh. Il protagonista, vagando alla ricerca del segreto per sfuggire alla morte, viene ammonito da Siduri, la taverniera di Shamash (dio della giustizia) per aver trascurato l'esercizio del potere cercando una chimera. Non sappiamo se il poema contenesse la narrazione del diluvio ma è certo che conteneva almeno l'incontro di Gilgamesh col lontano antenato che sopravvisse al Diluvio.
Nel 1902 il tedesco Bruno Meissner pubblicò il testo di un manufatto antecedente di oltre mille anni la versione ninivita. Il documento, di epoca paleobabilonese e proveniente da Sippar, conteneva - a differenza dei poemetti sumerici - un testo molto simile a quello contenuto nell'epopea (tav. X). Quindi il testo paleobabilonese era quasi sicuramente servito da modello per il canone. Alla tavoletta Meissner (nota come la tavoletta di Berlino, dal nome del museo dov'è attualmente conservata) se ne aggiunsero con gli anni altre, tutte appartenenti al cosiddetto poema paleobabilonese (1800 a.C.). Sono pochissimi documenti d'immenso valore storico-letterario e vale la pena citarli tutti:
  •  tavoletta Meissner (o di Berlino)
  •  tavoletta di Pennsylvania
  •  tavoletta di Yale (proseguimento della tavoletta di Pennsylvania)
  •  tavoletta di Chicago
  •  tavoletta di Londra (proseguimento della tavoletta di Berlino)
  •  tavoletta di Bagdad (ammesso che quest'ultima sia sopravvissuta al saccheggio successivo alla sciagurata invasione americana dell'aprile 2003).
Il poema è il primo vero tentativo di composizione epica unitaria sulle gesta del re di Uruk. Venne compilato nel periodo della prima dinastia di Babilonia con il suo re prestigioso Hammurabi noto per il "primo" codice delle leggi (i primi codici sono in realtà di epoca sumerica). Dalla tavoletta di Berlino e Londra sono tratti i seguenti versi, tra i migliori tramandataci dalla letteratura mesopotamica:
"Gilgamesh, dove vai? La vita che cerchi, non la troverai. Quando gli dei crearono l'umanità le assegnarono la morte, e tennero per sé la vita! Riempi il tuo stomaco, Gilgamesh. Fai festa giorno e notte, i tuoi vestiti siano puliti! Lava il tuo capo, lavati con acqua! Gioisci del bambino che ti tiene per mano, possa tua moglie godere di te. Questo è il destino degli uomini!" Questi sono praticamente gli ultimi versi di quanto ci è rimasto del poema di Gilgamesh. Il protagonista, vagando alla ricerca del segreto per sfuggire alla morte, viene ammonito da Siduri, la taverniera di Shamash (dio della giustizia) per aver trascurato l'esercizio del potere cercando una chimera. Non sappiamo se il poema contenesse la narrazione del diluvio ma è certo che conteneva almeno l'incontro di Gilgamesh col lontano antenato che sopravvisse al Diluvio.
E' interessante osservare che praticamente tutti questi frammenti appartenenti al poema paleobabilonese ci sono pervenuti in ottimo stato di conservazione. Infatti non furono rinvenuti scavando tra le rovine di antiche capitali bensì sulle bancarelle degli antiquari! La tavoletta Meissner fu acquistata nel 1902 da un rivenditore di Bagdad. Anche la tavoletta di Pennsylvania fu acquistata da un antiquario nel 1914 per conto dell'università di Philadelphia. L'università di Yale si rivolse allo stesso mercante d'arte per l'acquisto della continuazione della tavoletta della Pennsylvania (tavola III).
Non è casuale che alcune tavolette siano una prosecuzione dell'altra. Infatti, l'interesse per gli occidentali stimolò iniziative illecite degli antiquari che, spesso spezzavano le tavole in più pezzi contando su un maggiore profitto derivante da più di un acquirente. L'esempio più scandaloso ci è dato dalla celeberrima tavoletta di Londra e Berlino. Essa è formata dalla tavoletta Meissner (conservata a Berlino) e da un frammento comprato nel 1902 presso lo stesso antiquario da G.F. Loftus per conto del British Museum. Questo secondo frammento venne riscoperto negli archivi del museo londinese da A.R. Millard soltanto nel 1964.
Fase 3: le saghe medio-babilonesi e il mito di Atramkhasis
Al poema di Gilgamesh si ispireranno le posteriori saghe redatte in lingue extra-babilonese (ittita, elamico, khurrico) e trovate in Anatolia, Siria, Israele a testimonianza dell'enorme fortuna del poema in antichità. Queste risalgono al periodo mediobabilonese (XIV-XII sec. a.C.) e contengono un "dettaglio" in più rispetto al poema: l'intera narrazione del Diluvio universale. Questa versione è incredibilmente simile a quella che troviamo nella Genesi. Le saghe mediobabilonesi più o meno si equivalgono nel contenuto ma sono assai diverse nella forma. Abbiamo per esempio, saghe in lingua diversa, saghe in prosa, altre in versi, oppure con estensione variabile da una all'altra. Più o meno nello stesso periodo circolava un'edizione autonoma del diluvio, l'Atramkhasis (il Grande Saggio). Anche questa sarà utilizzata a modello dagli scribi assiri.
Le saghe mediobabilonesi
Oltre all'epopea ninivita e al poema paleobabilonese si scoprirono redazioni di epoca intermedia al di fuori della Mesopotamia (Siria, Anatolia, Palestina) scritte in lingue diverse dall'accadico: ittita (lingua non semitica ma indoeuropea), elamico e hurrico. Era la dimostrazione che il successo riscosso dalle storie di Gilgamesh in antichità aveva valicato confini geografici e culturali. Queste versioni mediobabilonesi sono in genere più simili al poema paleobabilonese che all'epopea ninivita. Talvolta però contengono varianti autonome che stanno a significare che le avventure di Gilgamesh venivano riadattate ai gusti del pubblico. Le differenze tra queste versioni naturalmente moltiplicano l'interesse per il Gilgamesh. Se l'epopea canonica, per economia della narrazione, sacrifica meravigliosi dialoghi o dettagli, possiamo arricchirla - pur mantenendo le dovute distinzioni - dalla lettura delle versioni "apocrife". Per esempio la splendida tavola X (le peregrinazioni di Gilgamesh) è molto lacunosa. Poco male: la versione mediobabilonese ittita ci svela il mistero di "quelli-di-pietra", il poema paleobabilonese (tavoletta di Berlino) arricchisce il dialogo tra Siduri e Gilgamesh sul senso della vita, la versione mediobabilonese elamita contiene una variante che richiama il mito di Etana (la ricerca della pianta della fertilità).
Il mito di Atramkhasis o del grande saggio
Molti ritengono che la versione del diluvio contenuta nella tavola XI dell'epopea sia un'interpolazione dell'episodio centrale dell'Atramkhasis (= grande saggio), dove il diluvio è solo l'ultima di una serie di calamità decisa dagli dei per punire il genere umano. Secondo questo mito, le calamità furono provocate per ridurre al silenzio gli uomini che col loro lavoro disturbavano il riposo degli Anunnaki. Un motivo in apparenza fra i più ottusi, dato che gli uomini, è vero, erano rumorosi ma perché producevano il fabbisogno degli dei. Eliminando gli uomini, gli dei finivano col bruciare la loro stessa fonte di sostentamento. E' per questo che recenti interpretazioni hanno cominciato a vedere nella "rumorosità" una metafora dell'ingegno umano. L'uomo, attraverso il miglioramento delle condizioni di vita e l'accrescimento del sapere, si rendeva indipendente dall'elemento divino. L'Atramkhasis non è "solo" il diluvio. Il bel mito racconta delle origini del mondo divino, diviso tra Anunnaki (gli aristocratici) e Igigi (la servitù) e della creazione dell'uomo per sollevare gli Igigi dalla fatica del lavoro. Una lettura dell'Atramkhasis, o almeno dei circa 800 versi giunti sino a noi. Vale la pena osservare che a causa di una svista degli scribi di Ninive, Atramkhasis fa un cameo nella tavoletta del diluvio.

Fase 4: il canone
Riepilogando, le fasi letterarie che porteranno all'epopea di Gilgamesh sono le seguenti:
  •  poemetti sumerici (2500 a.C.)
  •  poema paleobabilonese di Gilgamesh (1700 a.C.)
  •  saghe mediobabilonesi di Gilgamesh e poema del Grande Saggio (1200 a.C.)
Intorno al XII° secolo a.C. il materiale letterario (epico e mitologico) è pronto per una nuova risistemazione. Forse proprio in quest'epoca, al più tardi un secolo dopo, avvenne la compilazione in versi delle avventure di Gilgamesh secondo una struttura unitaria, giunta a noi nella tarda redazione assira (VIII° sec. a.C.). 
Se i testi delle origini erano caratterizzati da un forte contenuto mitico, il canone assiro è invece di contenuto mitico più rarefatto. Il canone è un opera arricchita nei contenuti, di imponente bellezza lirica e riflessione filosofica. 
La qualità letteraria dell'opera fu tale che venne ricopiata, studiata a scuola, commentata e tradotta incessantemente fino al VII° secolo. Qualcosa di molto simile avvenne anche per i poemi omerici, base culturale degli antichi greci. Proprio le copie più tarde dell'epopea, redatte nella capitale dell'impero assiro, grazie al loro migliore stato di conservazione consentirono agli studiosi una lettura completa della storia di Gilgamesh.

La narrazione prende nome dal protagonista, Gilgame
š, il re sumero di Uruk (Erech nella Bibbia, attualmente Tell-al-Warka in Iraq), l'eroe che con il compagno Enkidu affronta avventure di ogni genere, alla ricerca del segreto dell'immortalità. Per conoscere tale segreto Gilgameš si rivolge al saggio Utnapishtim (Noé biblico), scampato al diluvio universale; questi gli narra la storia del diluvio e infine gli rivela che in fondo al mare esiste la pianta dell'eterna giovinezza (o anche pianta della vita) (albero della vita nel racconto biblico). Gilgameš riesce a raggiungerla ma la perde per colpa di un serpente (il serpente biblico che impedisce all'uomo la comunione con Dio facendogli commettere la colpa di mangiare dell'albero della vita); torna allora a Uruk (l'uomo dopo il peccato viene cacciato dal paradiso e immesso nel mondo) dove terminerà i suoi giorni, avendo ormai compreso che l'immortalità appartiene solo agli dei e non spetta agli uomini.

Nel poema compaiono molte affinità con i testi biblici e con l'epica classica; si pensa che alcuni temi fossero largamente diffusi nel mondo antico, e che la loro attestazione testimoni rapporti culturali fra i popoli, altrimenti non documentati.

Gilgame
š

Gilgame
š è un personaggio storico che poi fece parte della mitologia sumera. Mitico re dei Sumeri, regnò su una delle più antiche città: Uruk ("l'ovile"), il più antico agglomerato urbano dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del golfo Persico.

Gilgame
š è il più noto e celebrato eroe di tutta la Mesopotamia un po' come lo era Odisseo nel Mediterraneo all'epoca della colonizzazione greca. Dalla lista reale sumerica, redatta attorno al 2500 a.C. e proveniente da Fara, leggiamo un passo relativo al quinto re della prima dinastia di Uruk, che regnò verso il 2700 a.C.:

Il divino Gilgame
š - suo padre è uno sconosciuto - signore di Kullab, regnò 126 anni; Urlugal, figlio di Gilgameš, regnò 30 anni. L'opera è divisa in dodici capitoli, detti "tavole".


Tavola I°
L'opera inizia con un inno al re Gilgameš e alla sua città, Uruk. I sudditi, viene detto, sono però vessati dal loro sovrano e si lamentano con gli dei. Il dio An, sovrano del firmamento, accoglie la supplica e, per dare sollievo al popolo, dispone la nascita di Enkidu. Costui è l'uomo selvaggio che vive con gli animali nella steppa, che potrà tenere a freno la smisurata potenza di Gilgameš ma anche stargli accanto nei momenti di pericolo. Enkidu però deve essere prima educato alla civiltà. A questo compito provvede la prostituta sacra Shamkhat che gli insegna le basi della vita cittadina prima di condurlo a Uruk.

Tavola II°
Enkidu giunge a Uruk in tempo per evitare che Gilgameš varchi la soglia di una novella sposa. Infatti, a Gilgameš, in quanto sovrano, spettava lo ius primae noctis, uno dei maggiori fattori di lagnanza popolare. Gilgameš e Enkidu si fronteggiano ma la forza dei contendenti è paritaria, per questo cessano le ostilità e i due diventano fraterni amici. Gilgameš, in cerca di fama e avventura, propone allora a Enkidu una spedizione nella foresta dei Cedri dove mille pericoli li attendono.

Tavola III°
Gilgameš convince gli anziani di Uruk ad appoggiare la missione. La madre Ninsun, sacerdotessa del tempio, tuttavia è angosciata della partenza del figlio. Ninsun leva un’intensa preghiera a Shamash, dio del sole, affinché protegga Gilgameš dai pericoli. Dopo che gli artigiani di Uruk hanno forgiato le armi della missione i due eroi si mettono in viaggio.

Tavola IV° (la "tavola dei sogni")
Il viaggio verso la foresta avviene in un clima di magica sospensione. Ogni sera, i due eroi, prima di coricarsi dal lungo cammino eseguono un sacrificio al dio Shamash. Un demone della sabbia, inviato dal dio, incanta Gilgameš per fargli avere sogni premonitori. Contemporaneamente il demone infonde a Enkidu il potere di interpretare i sogni. I cinque sogni di Gilgameš sono tutti a tinte fosche, ma ogni volta Enkidu li interpreta come segnali di buon auspicio da parte del loro dio protettore.

Tavola V°
Gilgameš e Enkidu giungono nella foresta dei cedri e cercano i tronchi migliori da tagliare e portare a Uruk. Vengono scoperti dal mostro Khubaba, posto a guardia della foresta dal signore degli dei, Enlil. Il mostro maledice i due uomini, sperando d'impaurirli, ma gli eroi non indietreggiano e lo scontro ha inizio. Con l’aiuto di Shamash, Gilgameš e Enkidu riescono a sopraffare il mostro che chiede pietà. Enkidu tuttavia avverte Gilgameš che le parole del mostro contengono menzogna e sprona l’amico a finire la creatura. Il bottino è grande. Gli alberi sacri vengono tagliati e portati a Uruk.

il mostro Khubaba guardiano della foresta dei cedri


il mostro Khubaba viene ucciso da Gilgamesh e da Enkidu















 





Tavola VI°
Gilgameš è acclamato e Ishtar, dea dell'amore, osservando il sovrano in tutto il suo splendore se ne invaghisce. La dea scende a Uruk e propone a Gilgameš di sposarlo. L’eroe rifiuta la sua proposta in termini che oltraggiano la dea. Ishtar allora fa liberare il Toro Celeste che come una calamità si abbatte sulla città. Intervengono Gilgameš e Enkidu che come in una corrida riescono a bloccare e uccidere il mostro. La gloria di Gilgameš raggiunge l’apoteosi e mentre tutto il popolo lo acclama, Ishtar piange il Toro con le sue ancelle.

dea Ishtar

toro celeste di Ishtar




Gilgamesh uccide il toro celeste di Ishtar







Gilgamesh uccide il toro celeste di Ishtar

















Tavola VII°
Spente le libagioni, Enkidu sogna il consiglio degli dei. L’olimpo non è contento ma offeso dai ripetuti sacrilegi. Enlil decreta che uno dei due eroi muoia. Poiché Gilgameš ha sangue divino nelle vene, la pena ricade su Enkidu che cade in agonia. Gilgameš è disperato, perché non può fare nulla per il moribondo che, vaneggiando, maledice la porta costruita col cedro della foresta e la prostituta che lo aveva introdotto alla civiltà. Shamash però rincuora Enkidu preparandolo al trapasso. In un ultimo sogno Enkidu ha la visione della Casa della Polvere, il regno dei morti dove è destinato.

Tavola VIII°

Enkidu muore e Gilgameš lo piange intonando un lamento funebre al quale si unisce tutto il popolo in lutto. Viene preparato un regale corredo funebre che accompagnerà il defunto nell’aldilà.

Tavola IX°
Gilgameš è sconvolto dalla morte del compagno e s’interroga se anche lui dovrà un giorno perire nello stesso modo. In cerca di una risposta abbandona Uruk disperato, vagando per la steppa affamato e derelitto. Giunge fino alla porta di una montagna sorvegliata da creature metà uomo e metà scorpione. I guardiani mostruosi riconoscono in lui carne divina e lo lasciano passare. Gilgameš attraversa l’oscurità della montagna e all’uscita si ritrova nello splendente giardino di Shamash dove diamanti e lapislazzuli crescono sugli alberi.

Tavola X
°
Il giardino di Gilgameš è sorvegliato dalla vivandiera Siduri che commossa dalle implorazioni di Gilgameš gli spiega come raggiungere l’antenato Utnapishtim, reso immortale dagli dei per aver superato la prova del diluvio universale. Incontrato il traghettatore Urshanabi, Gilgameš può attraversare le acque della morte che separano la dimora di Utnapishtim dal resto dell’umanità. Gilgameš infine raggiunge l’antenato che però non ha alcun segreto di lunga vita da rivelare.

Tavola XI° (la "tavoletta del Diluvio" presa dagli ebrei nella loro Bibbia)
Gilgameš non crede a Utnapishtim. L’antenato racconta allora come riuscì a salvarsi dal grande diluvio. Fu solo al termine di questa calamità, scagliata dagli dei per sopprimere gli uomini, che si creò l’unica situazione in cui fu garantita vita eterna ad un mortale. Gli dei, infatti, riunitisi in consiglio per decidere il destino di Utnapishtim, lo elessero a loro pari destinandolo a vivere lontano dal mondo. Fu quindi grazie a un consiglio divino che Utnapishtim divenne immortale, ma tale consiglio non potrà mai ripetersi per Gilgameš. Il re di Uruk prova allora a sottoporsi alla prova del sonno per mostrare di meritare una simile possibilità, fallendo però miseramente. Gilgameš si sente sconfitto, ma Utnapishtim gli fa un ultimo dono prima del viaggio di ritorno: la pianta dell’irrequietezza che restituisce vigore al fisico.
Sulla strada per Uruk, Gilgame
š fa una sosta in un'oasi lasciando incustodita la pianta magica. Quanto basta affinché un serpente, possa avvicinarsi e divorare la pianta, perdendo la pelle e ridiventare giovane. A Gilgameš non rimane che accettare il suo destino mortale e tornare a Uruk dove riprende l’esercizio del potere con i suoi strumenti: il pukku e il mekku (il tamburo e la bacchetta della guerra).

Tavola XII
°
I lamenti delle vedove fanno cadere il pukku e il mekku agli inferi. Enkidu (di nuovo vivo, come in un flashback) si accolla il compito di recuperare gli arnesi del potere. Gilgameš raccomanda a Enkidu di rispettare tutti i tabù degli inferi per garantirsi il ritorno. Purtroppo Enkidu infrange i tabù e viene intrappolato. Gilgameš riesce a far liberare Enkidu grazie all’aiuto di Shamash che intercede presso Nergal, signore dell’oltretomba. Ma Enkidu è già morto come apprende Gilgameš quando al suo cospetto torna solo un’ombra. Nel corso dell’ultimo incontro col vecchio compagno di avventure, Enkidu spiega il destino degli abitanti dell’oltretomba.
I Sumeri
I Sumeri, antico popolo asiatico originario forse dei monti dello Zagros, tra Turchia e Iran, dalla metà del IV° millennio a.C. diedero vita nella bassa Mesopotamia alla prima cultura urbana. In una fase iniziale (3500 - 3000 a.C.), dominata dalla città di Uruk, i Sumeri conobbero un fiorente sviluppo demografico e commerciale, con la fondazione di insediamenti coloniali in area elamitica, assira e anatolica orientale. La crisi tra la fine del IV° e il principio del III° millennio a.C. (periodo protodinastico I) provocò un brusco arresto della crescita della popolazione e un ristagno dei commerci. Nell'ambito delle acquisizioni tecniche e scientifiche, la civiltà sumera raggiunse un notevole sviluppo: conosceva l'uso della barca a vela e del carro nei trasporti, del mattone, dell'arco e della volta nell'edilizia, oltreché quello della scrittura. I medici sumeri possedevano una profonda conoscenza della farmacologia erboristica, mentre gli astronomi calcolarono le fasi lunari e divisero l'anno in 365 giorni di 24 ore ciascuno. Religione e civiltà.
Dio, in sumero Anu, si manifesta in una molteplicità di aspetti identificati con divinità minori, quali Enlil (dio del vento e delle tempeste), Enki (la terra), Inanna (dea della fertilità) verso cui in particolare si rivolgeva la devozione popolare. Ogni città aveva inoltre una propria divinità tutelare che la reggeva e che risiedeva nel tempio centrale. I templi, le ziggurat, erano edifici a base quadrata, formati da piani sempre più ristretti, all'interno dei quali si officiavano i riti religiosi. La religione costituiva l'aspetto unificante della civiltà cui facevano capo le diverse città. A capo di ogni città vi era un re chiamato lugàl (grande uomo) o ènsi (governatore). Questi era considerato rappresentante di Dio in terra, inviato per la sicurezza e l'ordine del paese. Aveva quindi anche funzione di “gran Sacerdote”. Nel III millennio nacque il “palazzo” come sede del re, che sostituirà il tempio relativamente all'amministrazione politica, economica e militare. Nella società si distinguevano tre classi sociali: i liberi (classe dominante di proprietari terrieri, funzionari, sacerdoti, ufficiali militari), i semiliberi (coltivatori, operai, artigiani, commercianti, che godevano della libertà ma non potevano possedere terre), gli schiavi (persone di umile condizione, prigionieri, persone che avevano perduto la libertà). La vita economica si basava sull'agricoltura, l'artigianato e il commercio.

L'apogeo dei Sumeri.

Superata la crisi iniziale, il seguito del III millennio a.C. rappresentò la fase di massima fioritura di questa civiltà. La scrittura si trasformò in un sistema fonetico sillabico, che utilizzava il carattere cuneiforme. La situazione politica fu caratterizzata da un accentuato policentrismo, con una serie di città-Stato di dimensioni quasi equivalenti: a sud Uruk, Ur, Eridu; nell'area orientale Lagash e Umma; più a nord Nippur, Kish, Eshnunna.

Lo scontro con gli Accadi.

I periodi protodinastico II e III (2750 - 2600 e 2600 - 2350 a.C.) furono segnati da guerre di confine tra le città e da tentativi di costituire egemonie regionali, come il vasto dominio costituito dal re di Uruk, Lugalzaggizi (2350 - 2325 a.C.), che sottomise Ur, Umma, Nippur e Lagash. Sconfitto Lugalzaggizi dagli Accadi, ebbe inizio la sottomissione dei Sumeri alla dinastia di Accad (2335 - 2193 a.C.). Gli Accadi erano di origine semitica e invasero la regione del fiume Tigri guidati dal re Sargon. La fusione tra Sumeri e Accadi originò un forte Regno nella Mesopotamia meridionale con capitale Accad, culla della civiltà babilonese. L'invasione dei Gutei, popolo nomade delle montagne dell'Iran, i quali sconfissero gli Accadi, permise in seguito ai Sumeri di recuperare la loro autonomia (periodo neosumerico, 2190 - 2000 a.C.).

L'opera di Ur-Nammu.

Ur-Nammu (2112 - 2095 a.C.), inizialmente governatore di Ur per conto del re di Uruk Utukhegal, unificò le città sumeriche in un Impero centralizzato. Emanò il primo codice di leggi organico e impose un sistema comune di pesi e misure. Sotto Ibbi-Sin l'Impero entrò in crisi (2028 - 2004 a.C.) e fu poi sopraffatto dai nomadi amorrei ed elamiti, i quali saccheggiarono e conquistarono Ur. L'eredità culturale e politica dei Sumeri fu raccolta dalla civiltà paleobabilonese.